Un’agenzia unica a livello nazionale che funzioni e una messa in rete dei diversi attori: da qui passa la svolta per uscire dalla crisi pandemica. «È il momento di fare una proposta sussidiaria per salvare l’economia», dice Giuseppe Zingale, general manager della divisione welfare di Samsic HR Italia
Nel Recovery Plan consegnato alla Commissione europea, ci sono «6 miliardi di euro per riformare le politiche attive del lavoro», ha ricordato il premier Mario Draghi nel «summit sociale» europeo di Porto. L’obiettivo non è tanto salvare posti di lavoro che forse non torneranno più indietro, quanto sostenere l’occupabilità dei lavoratori in transizione e dei disoccupati. Con la previsione, secondo il Documento di economia e finanza, di creare 750mila nuovi occupati.
Gli strumenti che il governo ha messo in campo per finanziare le politiche attive sono tre: il Programma nazionale per la garanzia di occupabilità dei lavoratori (Gol), il Piano nazionale nuove competenze e il Fondo nuove competenze (già previsto nel decreto rilancio). In particolare, il Gol punta a garantire un percorso standardizzato sul territorio per tutti coloro che cercano lavoro: la presa in carico da parte dei Centri per l’impiego, la profilazione secondo il curriculum e la costruzione di percorsi personalizzati di riqualificazione. Aprendo anche alla collaborazione con le agenzie per il lavoro private.
«Forse ci voleva la pandemia, forse il Recovery Plan, ma finalmente abbiamo messo al centro del dibattito politico i temi delle politiche attive del lavoro», commenta Giuseppe Zingale, general manager della divisione welfare di Samsic HR Italia, società che si occupa di sviluppo e gestione delle risorse umane. «È con la riforma Biagi che abbiamo sancito il fatto che il disoccupato si deve proattivare e, nel tempo, siamo arrivati al sistema attuale di collocamento pubblico e a quello privato delle agenzie per il lavoro. Questi due elementi, in una logica integrata, devono cominciare a dare vera attuazione alle politiche attive. I costi che il sistema deve sostenere per riqualificare la persona sono elevati, e in questo senso non aiuta che l’Italia sia il Paese che spende meno in Europa. Per questo ora è il momento di fare una proposta sussidiaria», spiega Zingale.
La necessità di agire è urgente. «Oggi abbiamo un dato occupazionale drogato dal fatto che sono bloccati i licenziamenti», avverte Zingale. «Ma, quando li sbloccheranno, solo in Lombardia avremo 450mila nuovi disoccupati. Se non c’è un sistema di accoglienza e guida rispetto a coloro che lasceranno il mercato del lavoro, per costruire l’offerta e aumentare la qualificazione e la riqualificazione delle persone, non riusciremo a dare una risposta alla crisi post pandemica».
Per diversi esperti, tra cui Andrea Garnero, economista dell’Ocse, però, il semplice stanziamento di più fondi per le politiche attive serve a poco, se alle spalle non c’è un’idea precisa di quali strumenti mettere in campo per salvare l’economia. In più, non bisogna dimenticare come l’Italia patisca una cronica disomogeneità delle politiche attive sul territorio: in alcune zone queste misure infatti funzionano abbastanza bene, e in altre per niente.
Lo sa bene Zingale, la cui divisione welfare all’interno di Samsic HR Italia è specializzata nell’individuare le specificità territoriali e rispondere alle criticità occupazionali di aziende, cittadini e anche enti locali. «In questo momento il problema è creare un modello, altrimenti rischiamo di utilizzare male le risorse», spiega il manager. «Il Jobs Act, per esempio, aveva istituito Anpal, una struttura che non è mai davvero decollata. Io concordo che un potenziamento delle misure debba esserci, ma bisogna costruire una proposta che metta insieme il meglio del collocamento privato e pubblico in una logica di raccordo. Per costruire questo modello, mi piacerebbe vedere un confronto serrato in Conferenza Stato-Regioni».
La partita delle politiche attive infatti è ancora tutta da giocare. A partire dal cambio di governance nell’Anpal, annunciato dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Per il momento, il Piano di rilancio elenca una serie di principi, ma senza lasciar intravedere come si intenda mettere a terra i cambiamenti.
«Oggi la ripartenza parte dalla formazione professionale», ribadisce ancora Zingale. «Bisogna partire dai fabbisogni formativi professionali delle imprese». Solo in Lombardia ci sono 630 operatori accreditati alle politiche attive. La proposta è sia quella di «mettere le schede dei lavoratori a disposizione del sistema privato in un servizio unico informativo nazionale, sia di istituire un’agenzia nazionale che funzioni e raccordi con un ruolo di governance».
Anche sulla formazione il settore privato può e deve contribuire, andando oltre il semplice collocamento di chi ha perso il lavoro e ne deve trovare uno nuovo. «Attualmente c’è uno scollamento tra istruzione e formazione, per questo l’investimento sulla formazione continua è necessario», osserva Zingale. «Il ruolo del settore pubblico deve essere quello di progettare gli strumenti per incentivare l’imprenditore a mandare il lavoratore a formarsi. Il ruolo del privato invece è di presentare progetti alle imprese, sia in termini di formazione continua sia di consulenze: non tutti gli imprenditori sanno, per esempio, che ci sono sgravi contributivi per chi assume coloro che provengono dalle politiche attive del lavoro».
Fondamentale è che la politica attiva si rivolga sia al lavoratore disoccupato sia all’impresa, proponendo progetti specifici per accompagnare e continuare a formare il lavoratore durante tutto l’arco della sua vita lavorativa. Ne è un esempio pratico la convenzione che Samsic HR Italia ha sviluppato con la Fondazione Welfare Ambrosiano per sostenere chi vuole avviare un’attività imprenditoriale: la fondazione dà le garanzie necessarie alle banche, che finanziano l’attività della persona che intende aprire un’impresa. Un accordo siglato di recente con il Fondo Nazionale Microcredito opera poi per finanziare la formazione professionale per chi ha la partita Iva, mentre Samsic HR Italia sostiene la persona direttamente attraverso la formazione.
«Così le varie esigenze vengono unite a sistema e trovano risposta», spiega Zingale. È questo un esempio di una progettualità che mette in rete tutti gli attori del mercato del lavoro e un modello in piccola scala di ciò che il Pnrr può finanziare a livello nazionale. «Un’occupazione stabile si crea se si agisce sul lavoratore, ma anche sull’impresa. Per questo mettere a disposizione dell’uno e dell’altro tutte le opportunità a disposizione è fondamentale», conclude Zingale.
Articolo originariamente pubblicato da Linkiesta.