Se ne parla già da alcuni anni, ma è in questi mesi che il tema sta tornando sotto i riflettori: l’employer branding si dimostra un asset importante nel processo di definizione dell’identità aziendale e di attrazione di nuovi talenti. 

Employer branding: alternativa alle dimissioni di massa

L’espressione “employer branding” definisce tutte le attività volte a migliorare la qualità dell’organizzazione come luogo di lavoro e consolidare l’immagine aziendale agli occhi di dipendenti e potenziali candidati, distinguendosi rispetto ai competitor. L’obiettivo finale è trasformare l’azienda in un datore di lavoro valido, e comunicarla all’esterno proprio come un brand, trasmettendo la propria identità e la propria proposta di valore

Una buona strategia di employer branding permette non solo di attrarre i talenti in linea con la propria mission e vision, ma ha anche effetti positivi sulla retention del personale, sui livelli di engagement e sulla produttività.

Si tratta di un tema che, negli ultimi tempi, sta assumendo una nuova rilevanza: il fenomeno della “Great Resignation” ha infatti sollevato il problema di come trattenere la propria forza lavoro e non perdere il personale qualificato. L’employer branding sembra essere la soluzione migliore a queste criticità. 

Un recente approfondimento di HBR ha indagato i tre pilastri di un’efficace strategia di employer branding e ha spiegato come implementare ciascuno di essi. 

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Come fare employer branding: i tre pilastri di una strategia efficace

  1. Reputazione 

Dopo la pandemia, i professionisti hanno incominciato a considerare la dimensione lavorativa come parte integrante del percorso di realizzazione personale; per questo essi pongono un’attenzione particolare a cosa viene detto, online e sui social media, sull’impresa dalla quale hanno ricevuto un’offerta di lavoro. Vogliono che la reputazione dell’azienda li rispecchi, che dica qualcosa di loro. 

Vediamo quali elementi valorizzare per costruire una buona reputazione (in primis tra i propri dipendenti e – di conseguenza – anche su internet). Possono essere riassunti dalle “tre C”: carriera, cultura, cittadinanza. Carriera fa riferimento ad una dimensione personale (“Lavorare qui mi aiuterà a crescere professionalmente?”), cultura, si riferisce invece ad una dimensione aziendale (“Com’è l’ambiente di lavoro? Gli altri dipendenti sono simili a me? Hanno il mio stesso approccio?”), mentre cittadinanza indica un’attenzione per una dimensione esterna (“Cosa fa l’azienda per contribuire al miglioramento della società?”). 

  1. Value Proposition

L’employer value proposition è la dichiarazione che stabilisce in maniera chiara la relazione tra datore di lavoro e dipendente, definendo nello specifico cosa l’azienda si aspetta dai lavoratori, in termini di engagement e performance, e, in parallelo, anche cosa intende offrire loro (compensazione economica, crescita professionale, equilibrio lavoro/vita personale). 

Se l’azienda riesce ad essere onesta e sincera e rispettare le promesse stanziate in questo “patto”, la soddisfazione e la motivazione del personale aumenteranno, con conseguenti benefici sulla reputazione. 

  1. Esperienza

La qualità dell’employee experience che un’azienda è in grado di proporre è direttamente collegata alla sua capacità di rispettare la promessa di valore stretta con i propri dipendenti. Un personale che ha delle aspettative rispetto alla propria esperienza sul luogo di lavoro e, nel tempo, le vede confermate, svilupperà un senso di appartenenza e di benessere nei confronti dell’organizzazione.